Ultimo eccellente interprete della grande tradizione rinascimentale del Montefeltro Federico Barocci nasce ad Urbino nel 1535 in un’antica famiglia di letterati ma anche e soprattutto di scienziati, costruttori di strumenti di misurazione e di orologiai di grande prestigio. Questa duplice radice umanistica e scientifica è una delle tante chiavi di lettura della sua produzione pittorica, che combina lirismo e precisione matematica con risultati di grande armonia compositiva.
Una delle caratteristiche fondamentali dell’opera del grande pittore urbinate è infatti l’innovazione della tecnica nel segno della grande tradizione scientifica e matematica della corte di Urbino. Invece di contrapporsi al flusso emozionale che colpisce l’osservatore, la precisione delle sue opere al contrario lo esalta, contribuendo a creare un concerto armonioso di figure, spazi, colori e luci in maniera coinvolgente ma allo stesso tempo rassicurante. Il grande pittore ebbe modo di affinare l’utilizzo di numerose innovazioni e tecniche stilistiche durante il suo volontario esilio urbinate dopo una breve parentesi romana. Trasferitosi a Roma al seguito dello zio, il grande architetto Bartolomeo Genga, ritornò infatti ad Urbino dopo pochi anni a causa di gravi problemi di salute causati, si dice, da un avvelenamento per mano di pittori invidiosi del suo successo. Ad Urbino resterà fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1612, sotto la protezione dell’ultimo Duca Francesco Maria II Della Rovere.
Come Leopardi, isolando e circondando il suo genio con la bellezza naturalistica delle colline marchigiane, Federico Barocci si dedicò completamente ad una pittura “matta e disperatissima”, piena di grazia ed eleganza ma intrisa di una tensione continua verso la perfezione assoluta per la realizzazione di ogni singola opera e che si concretizza attraverso la dotazione di numerose innovazioni di metodo.
Una di queste è l’utilizzo di una particolare tecnica di incisione e consecutiva copertura con cera liquida dei supporti che permetteva di donare alla pennellata una forza espressiva molto più versatile la cui massima espressione è visibile nel dipinto “Le Stigmate di San Francesco”, conservato ad Urbino nella Galleria Nazionale delle Marche. L’opera, commissionata dal duca Francesco Maria II Della Rovere per la Chiesa dei Cappuccini di Urbino e realizzata fra il 1594 e il 1595 è molto suggestiva, immersa in una cupa atmosfera notturna nella quale sfumature e luce sono le protagoniste assolute della teatralità della scena. Sullo sfondo la facciata della Chiesa dei Cappuccini è un particolare riconoscibile che ricollega la scena al territorio.
Altro elemento caratteristico della pittura di Barocci è l’uso di colori armonici, brillanti, avvolgenti e perfettamente equilibrati con un sapiente utilizzo della luce che li rende cangianti e in rilievo, quasi a creare un impianto scenografico articolato su differenti piani prospettici. Vi consigliamo di visitare la cappella roveresca del Santissimo Sacramento dove è conservata una bellissima “Ultima Cena” o “Istituzione dell’Eucarestia” un’opera che venne realizzata in nove lunghi anni e che esprime al meglio sia per la grandezza della tela che per la composizione il concetto di teatralità di Barocci. La scena principale è quella centrale, ma intorno a Gesù appare la vivacità della corte urbinate in quattro differenti scene che ripropongono elementi di vita comune che Barocci era solito inserire nelle sue opere per contribuire a dare un tocco di intimità e quotidianità alla scena. In questo caso i riferimenti alla corte urbinate si scorgono per esempio sugli intagli delle stoviglie, che riportano inserti di rovere a richiamo della casata del suo mecenate.
Il sodalizio artistico con Francesco Maria II della Rovere accompagnerà il pittore durante l’intera produzione artistica. Il fatto che un artista del calibro di Barocci, conosciuto ed apprezzato non solo in Italia ma anche in Europa, non volle più spostarsi dalla corte di Urbino fu fonte di grande prestigio per il duca che riceveva richieste e commissioni per il suo protetto da tutte le Corti d’Europa, in particolare dalla Spagna dove Francesco Maria aveva studiato. In aggiunta alla sincera ammirazione che il duca rivolgeva all’artista, in un certo senso Barocci ricoprì anche un importante ruolo politico perché con la sua fama contribuì a garantire solidità e stabilità ad un piccolo ducato già in delicato equilibrio che neanche due decenni dopo la morte dell’artista perderà la sua indipendenza con il passaggio allo Stato Pontificio.
Urbino e il ducato sono temi ricorrenti nelle opere di Barocci, che ripropone in numerose tele il profilo del maestoso ed elegante palazzo ducale. L’esempio più famoso è conservato nella Chiesa di Santa Croce a Senigallia, “La Sepoltura di Cristo” o “Trasporto di Cristo al Sepolcro” messa in opera nel maggio 1582. Fra naturalismo e pathos la pala d’altare mostra le chiare influenze del più illustre pittore urbinate, Raffaello, che donano al quadro una pacatezza e una dolcezza tali da superare il tema triste dell’opera. In un sinuoso movimento creato dalla luce e dai colori sullo sfondo, quasi avvolto dalla nebbia, appare come una visione il magnifico palazzo.
Nonostante Barocci debba molto all’opera di Raffaello, Michelangelo, Correggio e Tiziano, egli è in realtà un riformatore dell’arte, un artista proiettato verso il futuro e non un “semplice” manierista cioè ammiratore e puro imitatore del Rinascimento. Al contrario egli è, come molti storici dell’arte lo definiranno, “un capostipite della pittura barocca” che seguiva però, applicandola alla perfezione, la regola Rinascimentale dell’armonia fra natura e idea, senza estremizzare né uno né l’altro fattore. Ciò che garantiva tale perfezione era soprattutto la minuziosa e organizzata arte del disegno preparatorio. Come Leonardo Da Vinci Barocci partiva sempre dall’osservazione del vero per realizzare i suoi modelli da cui derivavano composizioni scevre da ogni forma di artificio e dotate di una grazia spontanea e naturale nonostante la complessa elaborazione. La grande quantità di disegni preparatori è una altro elemento dell’ingegneria pittorica del grande artista, che ci riporta nuovamente alla duplice essenza della sua opera, letteraria e scientifica, che rappresenta appieno la tradizione di innovazione umanistica che rese grande fra i grandi il Ducato di Urbino.
Testo tratto da: https://www.destinazionemarche.it/fra-tecnica-e-poetica-la-pittura-di-federico-barocci-a-urbino/
Fra tecnica e poetica, la pittura di Federico Barocci a Urbino - Pubblicato il 06/02/2016 da Ruth Mezzolani
Da Brera a Urbino: tornano nelle Marche cinque capolavori dopo oltre due secoli
Grazie al progetto del MiC 100 opere tornano a casa, cinque grandi pale d’altare provenienti dai depositi della Pinacoteca di Brera hanno fatto ritorno dopo oltre due secoli nelle Marche e ora sono esposte alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino.
Dopo oltre due secoli, grazie al progetto del Ministero della Cultura 100 opere tornano a casa. Dai depositi ai musei, hanno fatto ritorno nelle Marche, cinque importanti dipinti provenienti dai depositi della Pinacoteca di Brera di Milano. La Galleria Nazionale delle Marche espone cinque grandi pale d’altare.
Due vennero realizzate dal pittore urbinate Federico Barocci. La sede museale custodisce già uno dei principali nuclei di dipinti del Barocci, tra cui la giovanile Madonna di San Simone (1567 circa) per la chiesa di San Francesco a Urbino, quella delle Stimmate di San Francesco (1594-95) per i Cappuccini della stessa città e l’incompiuta Assunzione della Vergine, che mostra il metodo di lavoro dell’ultima sua fase; e ora si arricchisce di due nuove opere: la Madonna col Bambino in gloria e i Santi Giovanni Battista e Francesco, databile agli anni Sessanta, proveniente dalla chiesa dei Cappuccini di Fossombrone, e l’Ecce Homo dipinto per l’oratorio dei Disciplinati della Croce di Urbino. Questa, trasferita in Francia dopo la soppressione della confraternita urbinate, avvenuta nel 1799, ritornò in Italia, alla Pinacoteca di Brera nel 1811. Nel 1847 venne esposta nella chiesa dell’Assunta a Costa Masnaga, presso Como, per tornare nei depositi di Brera nel 1991. L’opera, rimasta incompiuta per la morte del pittore, venne completata nel 1613 dall’allievo e agente di bottega Ventura Mazza.
Altra opera è la Madonna col Bambino, Sant’Agostino, la Maddalena e angeli, realizzata dal toscano Cristoforo Roncalli per la chiesa degli Agostiniani di Fermo, da cui venne sottratta nell’agosto 1811 dal Commissario per le Belle Arti Andrea Appiani durante le requisizioni napoleoniche. Già in cattivo stato di conservazione al suo arrivo in Lombardia, venne destinata alla chiesa di Besozzo (Varese) e rientrò a Brera soltanto nel 1979, quando venne restaurata: riemersero così sulla tela la firma e la data (1611).
Infine due grandi pale di Simone Cantarini requisite il 10 giugno 1811 in pieno periodo napoleonico: la Madonna con il Bambino in gloria e i Santi Barbara e Terenzio, opera giovanile del 1630 realizzata per la chiesa di San Cassiano a Pesaro, e l’Apparizione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova, per la chiesa di San Francesco a Cagli, del 1640 circa.
Le cinque grandi tele sono collocate nelle sale al secondo piano del Palazzo Ducale di Urbino nella sezione dedicata a Federico Barocci e alla pittura del secondo Cinquecento e del Seicento, in spazi appositamente riallestiti e dotati di un nuovo sistema di illuminazione.
FOTO Claudio Ripalti
Tratto da https://www.finestresullarte.info/attualita/100-opere-tornano-a-casa-galleria-nazionale-marche-urbino