Itinerario: Urbino/Gradara e Rimini

(testi tratti da www.riminiturismo.it)

 

Arco di Augusto e anfiteatro

L’Arco, il più antico conservato nell'Italia settentrionale, segna l'ingresso alla Città, per chi proviene dalla Flaminia, la via tracciata dal console Flaminio nel 220 a.C. per collegare Roma a Rimini.

 Eretto nel 27 a.C. come porta onoraria, esprime la volontà del Senato di celebrare la figura di Ottaviano Augusto, così come manifestato dall'iscrizione posta sopra l'arcata. Il monumento si inseriva nella cinta muraria più antica, della quale, ai suoi lati, sono visibili i resti, in blocchi di pietra locale. Oggi si presenta isolato, in seguito all'intervento di demolizione dei corpi adiacenti eseguito negli anni '30 del Novecento.

 La costruzione originaria, inglobata in due torri poligonali di cui rimangono poche tracce, era sormontata da una statua dell'imperatore a cavallo o su di una quadriga: la sommità, forse crollata per i terremoti, nel Medioevo venne orlata da una merlatura. L'architettura è esaltata da un ricco apparato decorativo carico di significati politici e propagandistici. L'apertura, talmente ampia da non poter essere chiusa da porte, ricordava la pace raggiunta dopo un lungo periodo di guerre civili; le divinità rappresentate nei tondi (Giove e Apollo nel lato esterno, Nettuno e Roma verso la città) richiamavano la grandezza di Roma e la potenza di Augusto. L'intera struttura è permeata da un forte carattere religioso che sottolinea l'aspetto sacrale di porta della città.

 L'arco e il ponte di Tiberio, realizzati nell'ambito di un più generale programma urbanistico promosso da Augusto, sono sempre stati assunti come simboli della Città fin dal Medioevo.

 

Anfiteatro romano

Da qui si prosegue lungo via bastioni orientali, in direzione della stazione ferroviaria. All'incrocio con via Roma, sulla sinistra incontrerete i resti dell'antico anfiteatro romano edificato nel II secolo d.C. Sorgeva in prossimità della spiaggia, allora molto più arretrata, nelle vicinanze dell'antico porto che si trovava nell'area ora occupata dalla vicina stazione ferroviaria.

 Era una costruzione imponente che sicuramente suscitava grande effetto soprattutto in chi giungeva dal mare. Di forma ellittica, la sua arena aveva un'ampiezza di poco inferiore a quella del Colosseo e poteva ospitare almeno dodicimila spettatori. La struttura era in laterizio e si sviluppava su due ordini; quello inferiore, porticato con sessanta arcate. Proseguite ora verso la prossima tappa, Piazza Ferrari. Dirigetevi verso il Tempio Malatestiano e, imboccando l'omonima via prospiciente, raggiungete Piazza Ferrari, dove troverete la Domus del chirurgo e, in via Tonini, l’attiguo Museo della Città con la sezione archeologica.

 

Tempio Malatestiano

L’attuale chiesa cattedrale di Rimini viene comunemente chiamata ‘Tempio Malatestiano’ a ricordare Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini dal 1432 al 1468, che intorno alla metà del ‘400 trasformò profondamente l’edificio preesistente nelle solenni forme rinascimentali che ancor oggi lo caratterizzano e che ne fanno un capolavoro del Rinascimento. Il tempio sorge dove c'era prima la Chiesa di S. Maria in Trivio e, dal XIII secolo, la Chiesa di S. Francesco. Quest'ultima era decorata da pitture oggi perdute ad eccezione del Crocifisso di Giotto - che si può ammirare nell’abside della chiesa- unica opera dell’artista a Rimini, risalente alle soglie del ‘300. Tutto la copertura lapidea esterna, realizzata fra il 1450 e il 1460, è opera dell’architetto Leon Battista Alberti e doveva servire per dare solennità moderna alla semplice chiesa francescana nel cui cimitero erano sepolti alcuni dei più famosi Malatesta. Nel Tempio Sigismondo realizzò un sogno di magnificenza, riunendovi, come in una grande arca, le memorie della Famiglia; per vicissitudini storiche, l'opera però rimase incompiuta alla sua morte. I lavori, avviati nel 1447, prevedevano l'apertura di due cappelle a sepolcro di Sigismondo e di Isotta degli Atti, sua terza moglie. Sigismondo decise poi di agire su tutta l’antica chiesa affidando il progetto a Leon Battista Alberti, cui si deve il recupero della tradizione romana, evidente nella facciata e nelle fiancate che riecheggiano l’arco d’Augusto e il ponte di Tiberio. Entrando si nota come all'eleganza classica dell'esterno, fa riscontro la ricchezza della decorazione interna, vicina ai modelli di corte. Matteo de' Pasti e Agostino di Duccio operarono con una sensibilità quasi pittorica al rivestimento marmoreo delle sei cappelle laterali. I soggetti trattati si prestano a più letture, dall'esaltazione dell'amore di Sigismondo ed Isotta alle teorie filosofiche; emerge comunque fortemente la personalità del committente, visibile in tutta la decorazione interna e celebrata da Piero della Francesca nell'affresco con il principe inginocchiato davanti a San Sigismondo che si trova nell'ultima cappella di destra. Personalità che domina anche nel ritratto di Rimini della Cappella dei Pianeti (la terza cappella di destra), sovrastato dal Cancro, segno zodiacale di Sigismondo. La costruzione appare palesemente incompiuta e l’interruzione dei lavori, intorno al 1460, fu determinata dai contrasti fra il pontefice Pio II e Sigismondo che fu prima scomunicato e successivamente sconfitto e privato di gran parte dello stato nel 1463. A Pio II si deve anche la fama di Tempio pagano di questo edificio la cui edificazione viene annoverata assieme ai molti misfatti – veri e presunti – di Sigismondo. Il restauro, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e completato in occasione del Giubileo, ha restituito al Tempio, recentemente consacrato Basilica, l'antico splendore dei marmi e la vivacità dei colori delle cappelle interne. 

Rimini - Castel Sismondo o Rocca Malatestiana

La residenza-fortezza di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini dal 1432 al 1468, coniugava l'intento celebrativo con l’esigenza difensiva. La demolizione degli edifici fra il Castello e la piazza comunale, ordinata da Sigismondo, ne accentuò la posizione dominante e la mole malatestiana primeggiò sulle sedi del potere civile e religioso. La fortezza si imponeva per la possenza di torri e mura scarpate, per l'ampio fossato, per la grandiosità del mastio che, intonacato di bianco, si stagliava contro il rosso della torre d'ingresso. L’apparato difensivo, approntato con la consulenza di Filippo Brunelleschi, era dotato di bocche da fuoco. Il castello, come evidenziato dai restauri, inglobò elementi precedenti come mura romane munite di torri, la medievale porta del Gattolo, il nucleo delle case e dei palazzi malatestiani. Sigismondo tuttavia nell'iscrizione sul portale d'ingresso rivendica a sé la costruzione ex fundamentis. I lavori, iniziati nel 1437 si protrassero per circa 15 anni, anche se la residenza risulta abitata già dal 1446. Oggi non resta che il nucleo centrale della costruzione originaria, che vediamo rappresentata nelle medaglie di Sigismondo e nell'affresco di Piero della Francesca nel Tempio malatestiano. Il portale d'ingresso è tuttora sormontato da un'iscrizione e dallo stemma con l'elefante, la rosa e la scacchiera, simboli dei Malatesta. Divenuto in seguito fortezza pontificia, dal XVII secolo subì profonde modifiche: l’abbattimento della cinta muraria, il riempimento del fossato e lo spoglio degli arredi. Carcere dal XIX secolo fino al 1967, dagli anni ’70 è interessato da un complesso lavoro di restauro sostenuto, nell'ultima fase, dalla Fondazione CARIM. Oggi il Castello è un importante contenitore di eventi culturali. 

 

 

Piazza Tre Martiri

La piazza Tre Martiri ricalca parte dell’antico foro romano di Ariminum, posto alla confluenza delle due strade principali, il cardo – che raccordava la collina al mare - e il decumano – l’odierno corso d’Augusto che collega l’Arco con il Ponte di Tiberio.

 L’antico impianto della piazza, che fu più ampio e dilatato fino alla via San Michelino in foro, era lastricato con grandi pietre rettangolari, ora in parte visibili attraverso aperture recintate.

 La piazza, prima di essere dedicata ai tre partigiani riminesi uccisi nella seconda guerra mondiale, era intitolata a Giulio Cesare. Ciò in ricordo del discorso che il condottiero avrebbe tenuto nel 49 a.C. alle sue legioni proprio nel foro di Ariminum in occasione dello storico passaggio del Rubicone, il fiume che allora segnava il confine dello Stato romano: in realtà Cesare, nel De Bello Civili, non afferma di aver arringato i soldati a Rimini ma a Ravenna, prima di attraversare il Rubicone. In tal modo egli si presenta come un generale democratico che coinvolge le proprie truppe prima di importanti decisioni. Sta di fatto che fin dall’antichità si tramanda che il foro di Rimini sia stato scena dell’avvenimento e in sua memoria la piazza ospita una statua bronzea di Cesare, copia di un originale romano.

 Dall’età tardo antica, nel lato a mare, si insediarono le chiese di San Michele in foro, di Sant' Innocenza e San Giorgio, oggi distrutte.

 Nel Medioevo la piazza, oramai in secondo piano rispetto a quella del Comune, fu luogo di mercati: attraverso la via dei Magnani (ora via Garibaldi), segnata da un arco fra la cortina delle abitazioni, giungevano i prodotti dal contado. Sotto i portici si aprivano le beccherie, botteghe per la vendita della carne.

 La piazza fu inoltre teatro di giostre, tornei cavallereschi, manifestazioni e cerimonie pubbliche legate anche alla famiglia Malatesta. Capitelli gotici e rinascimentali ornano il portico sul lato monte della piazza.

 Agli inizi del Cinquecento, fu edificato il Tempietto dedicato a Sant'Antonio da Padova in ricordo del miracolo che, nel XIII secolo, rese una mula devota all’ostia consacrata. Ricostruito nel XVII secolo, ha mutato l’aspetto originale per i vari restauri. Dietro il tempietto i Minimi di San Francesco di Paola fondarono, agli inizi del Seicento, un luogo di culto, riedificato nel 1729: qui, dal 1963, sorge la chiesa dei Paolotti.

 Nel 1547 si costruì l'isolato con la Torre dell'Orologio, che diede alla piazza la forma e le dimensioni attuali, con edifici porticati al posto delle antiche beccherie. Su progetto di Francesco Buonamici la torre, nel 1759, subì un rifacimento. Con il terremoto del 1875, la parte superiore venne demolita. Oltre all’orologio, dal 1750 reca un quadrante con calendario, movimenti zodiacali e fasi lunari.

 Luogo di mercati e quindi salotto della vita cittadina, la piazza si presenta oggi nell’arredo urbano eseguito nel 2000, teso a valorizzare l’antico impianto e i segni della memoria.

 La storia più recente lega la piazza ai tragici eventi bellici: ne consegna il ricordo il Monumento ai Caduti e il nome stesso della piazza, intitolata ai tre martiri partigiani impiccati il 16 agosto 1944 nel punto ora contrassegnato da un inserto di marmo.

 

 

 

Piazza Cavour

Palazzo dell'Arengo, Palazzo del Podestà, Teatro Galli, Fontana della Pigna, Vecchia Pescheria

 Secondo Foro della Rimini romana, piazza Cavour assunse dal Medioevo un ruolo primario. Diverso era lo scenario, chiuso a mare dalla Chiesa di S. Silvestro, aperto a monte verso l’antica Cattedrale, rappresenta il centro monumentale e cittadino.

 Da un lato, negozi e caffè, dall'altro si schierano solenni palazzi, considerati tra i maggiori della città: Palazzo Garampi (oggi sede del Comune), Palazzo dell'Arengo (espressione del medioevo riminese), Palazzo del Podestà.

 E, in fondo alla piazza, si erge il bellissimo Teatro Comunale, in stile neoclassico, inaugurato nel 1857 da Giuseppe Verdi.

In mezzo alla piazza trovano posto anche la statua di Paolo V e la Fontana della Pigna.

 Piazza Cavour e l’adiacente piazza Malatesta ospitano, ogni mercoledì e sabato mattina, il mercato generale della città di Rimini, il più grande della regione Emilia Romagna.

Fulcro della medievale piazza Cavour è la fontana, che figura nel ritratto della città nel Tempio malatestiano. Al suo passaggio a Rimini, nel 1502, Leonardo da Vinci, si incantò all'armonia delle diverse cadute d'acqua.

 Giovanni Carrari da Bergamo la ristruttura, dopo i danni causati nel 1540 dai fuochi artificiali collocati nella vasca per festeggiare un alto prelato, e la consegna nelle forme attuali, rispettose dell'impianto antico. A coronamento era posta la statua di San Paolo, sostituita nell'Ottocento dalla Pigna che dà il nome al monumento. 

 

 

Palazzi dell'Arengo e del Podestà

Piazza Cavour è il salotto della città dove si trovano gli edifici pubblici più importanti, sin dal Medioevo assunse un ruolo primario. Diverso era lo scenario, chiuso a mare dalla Chiesa di S. Silvestro, aperto a monte verso la Cattedrale di Santa Colomba, demolita nel 1815.

 Sulla piazza si affacciano nel lato lungo a Nord ovest tre palazzi: il palazzo Garampi, ad angolo con il corso d’Augusto, seguito dal palazzo dell’Arengo e dall’adiacente Palazzo del Podestà. Il più antico è il palazzo dell'Arengo, costruito nel 1204: sotto l’ampio portico si amministrava la giustizia, nell'immensa sala al primo piano, con finestre a polifora, si riuniva l’Assemblea del Comune. Nel XIV secolo fu eretta al suo fianco la residenza per il Podestà: il piano terra doveva aprirsi in un loggiato. L'ingresso, sul lato corto, era sottolineato dall’arco con i simboli dei nuovi Signori, i Malatesta. Alla fine del 1500 iniziarono i lavori per l’edificio noto come palazzo Garampi, ora Residenza comunale: da ammirare una settecentesca statua in bronzo della Madonna contenuta in una nicchia posta all’angolo destro del palazzo. Dopo il sisma del 1916, che svela tracce delle strutture medievali, si avvia un restauro che ridisegna i palazzi in forme neogotiche.

 Elemento aggregante era la fontana che la tradizione vuole di origini romane: delle forme medievali, profondamente rimaneggiate nei successivi restauri, non rimane che l'immagine riprodotta nel bassorilievo di Agostino di Duccio nel Tempio malatestiano, in cui si coglie un aspetto non dissimile da quello delle coeve fontane

 

 Chiesa Sant'Agostino

La Chiesa di Sant’Agostino è per dimensioni e per tesori d’arte custoditi, una delle più importanti della città. L’imponente chiesa edificata dai monaci Agostiniani alla fine del XIII secolo, era ad aula rettangolare con copertura a capriate; sul fondo si apriva una grande abside affiancata da due cappelle, una delle quali costituiva la base del campanile. La facciata è oggi profondamente rimaneggiata dagli interventi settecenteschi che hanno alterato anche la fisionomia degli interni; ma le fiancate, scandite da sottili lesene, con la zona absidale e lo svettante campanile costituiscono una testimonianza dell'architettura religiosa gotica a Rimini.

 L’interno della chiesa conserva nell’abside e nella cappella del campanile le migliori testimonianze della scuola pittorica riminese che costituisce uno dei movimenti artistici più importanti del XIV secolo nell’Italia settentrionale e che ebbe come iniziatori i pittori Giuliano e Giovanni da Rimini e il miniatore Neri.

 L'apparato decorativo dei primi del '300, giuntoci in parte, si compone di cicli di affreschi e di un grande Crocifisso ligneo: nel campanile si ammirano le Storie della Vergine e, alle pareti dell’abside, Cristo, Madonna in Maestà, Noli me tangere, le Storie di San Giovanni Evangelista.

 La pittura trecentesca fu celata da interventi successivi finché, nel 1916 un forte terremoto ne rivelò la presenza. Soltanto nel 1926 si poté procedere allo strappo e al restauro del maestoso Giudizio universale dipinto sull’arco trionfale, ora al Museo della Città.

 

Resti della Cattedrale di Santa Colomba – Altro edificio medievale è la cattedrale di Santa Colomba, di cui rimane il largo campanile del XIII secolo. La tradizione, non suffragata da testimonianze, vuole che la chiesa, edificata nei pressi delle mura romane nel cuore della città medievale, fosse sorta sulle rovine di un tempio pagano. Si è ipotizzato che l’edificio, noto alle fonti dal 1015, avesse una struttura a basilica, sul modello diffuso a Ravenna fra V e VI secolo, a tre navate ed abside rivolta canonicamente ad Est, verso la città: orientamento che la chiesa, pur avendo nel tempo subito profonde trasformazioni, modificò soltanto nel XVII secolo, venendo ad affacciarsi sulla piazza.

 Tuttavia gli scavi archeologici eseguiti agli inizi degli anni ’90, riferiscono la fase più arcaica della costruzione all’altomedioevo, periodo in cui si data, fra l’altro, un bellissimo capitello marmoreo decorato a bassorilievo.

 Dedicata in origine forse allo Spirito Santo in forma di colomba, con la consacrazione a cattedrale (1154) la chiesa fu anche intitolata a Santa Colomba, la giovane spagnola martirizzata a Sens, in Francia, per volontà dell’imperatore Aureliano, le cui reliquie, a bordo di navi mercantili francesi in viaggio nell’Adriatico, sarebbero approdate per un naufragio proprio a Rimini, ove furono a lungo venerate.

 Sede anche del parlamento comunale fino al 1204, fu cattedrale di Rimini finché, nel 1798, cedette il titolo prima alla chiesa di Sant’Agostino e, dal 1809, al Tempio Malatestiano.

 Della chiesa, abbattuta nel 1815, non restano che il campanile del XIII-XIV secolo, assai rimaneggiato, ed alcune vestigia conservate in loco, al Tempio Malatestiano e nel Museo della Città.

 

Castel Sismondo o Rocca Malatestiana

La residenza-fortezza di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini dal 1432 al 1468, coniugava l'intento celebrativo con l’esigenza difensiva. La demolizione degli edifici fra il Castello e la piazza comunale, ordinata da Sigismondo, ne accentuò la posizione dominante e la mole malatestiana primeggiò sulle sedi del potere civile e religioso. La fortezza si imponeva per la possenza di torri e mura scarpate, per l'ampio fossato, per la grandiosità del mastio che, intonacato di bianco, si stagliava contro il rosso della torre d'ingresso. L’apparato difensivo, approntato con la consulenza di Filippo Brunelleschi, era dotato di bocche da fuoco. Il castello, come evidenziato dai restauri, inglobò elementi precedenti come mura romane munite di torri, la medievale porta del Gattolo, il nucleo delle case e dei palazzi malatestiani. Sigismondo tuttavia nell'iscrizione sul portale d'ingresso rivendica a sé la costruzione ex fundamentis. I lavori, iniziati nel 1437 si protrassero per circa 15 anni, anche se la residenza risulta abitata già dal 1446. Oggi non resta che il nucleo centrale della costruzione originaria, che vediamo rappresentata nelle medaglie di Sigismondo e nell'affresco di Piero della Francesca nel Tempio malatestiano. Il portale d'ingresso è tuttora sormontato da un'iscrizione e dallo stemma con l'elefante, la rosa e la scacchiera, simboli dei Malatesta. Divenuto in seguito fortezza pontificia, dal XVII secolo subì profonde modifiche: l’abbattimento della cinta muraria, il riempimento del fossato e lo spoglio degli arredi. Carcere dal XIX secolo fino al 1967, dagli anni ’70 è interessato da un complesso lavoro di restauro sostenuto, nell'ultima fase, dalla Fondazione CARIM. Oggi il Castello è un importante contenitore di eventi culturali. 

 

Ponte di Tiberio

Il percorso inizia dal Ponte di Tiberio, posto al termine, lato nord, del corso d’Augusto. Il monumento romano sorgeva sul fiume Marecchia, l'antico Ariminus intorno al quale, nel 268 a.C., venne fondata ufficialmente la prima colonia di Ariminum per ordine del senato di Roma che mandò seimila coloni, provenienti dall’area laziale e campana, ad impiantare la nuova città in un territorio ancora popolato dai Galli, i temibili nemici vinti dai Romani nel 295 a.C. a Sentino nelle Marche.

 Il Ponte di Tiberio crea ancora oggi il collegamento tra la città e il suburbio (il borgo San Giuliano). Da qui iniziano le vie consolari, Emilia e Popilia, dirette al Nord. La via Emilia, tracciata nel 187 a C. dal console Emilio Lepido, collegava Rimini a Piacenza; attraverso la via Popilia, invece, si raggiungeva Ravenna e si proseguiva fino ad Aquileia.

 Il ponte, iniziato da Augusto nel 14 e completato da Tiberio nel 21 d.C., come ricorda l'iscrizione che corre sui parapetti interni, si impone per il disegno architettonico, la grandiosità delle strutture e la tecnica costruttiva. Poco spazio è concesso invece all'apparato figurativo, comunque intriso di significati simbolici.

 In pietra d'Istria, si sviluppa per una lunghezza di oltre 70 m su cinque arcate che poggiano su massicci piloni muniti di speroni frangiflutti ed impostati obliquamente rispetto all’asse del ponte, in modo da assecondare la corrente del fiume riducendone la forza d’urto, secondo uno dei più evidenti accorgimenti ingegneristici.

 La deviazione del Marecchia prima e, più recentemente, i lavori per la predisposizione di un bacino chiuso, hanno messo in luce i resti di banchine in pietra a protezione dei fianchi delle testate di sponda; recenti sondaggi hanno poi rivelato che la struttura del ponte poggia su un funzionale sistema di pali di legno, perfettamente isolati.

 Il ponte è sopravvissuto alle tante vicende che hanno rischiato di distruggerlo: dai terremoti alle piene del fiume, dall’usura agli episodi bellici quali l’attacco inferto nel 551 da Narsete, durante la guerra fra Goti e Bizantini di cui restano i segni nell’ultima arcata verso il borgo San Giuliano, e, da ultimo, il tentativo di minarlo da parte dei Tedeschi in ritirata.

Attraversando il ponte si procede verso Piazza Tre Martiri, percorrendo il corso d’Augusto, l’antico decumanus maximus (decumano massimo) della città.